DVR POS e DUVRI: distinzioni e regolamento di confini
Il Testo Unico della sicurezza sul lavoro (il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), derivante dall’accorpamento dei previgenti D.Lgs. n. 626/94 e D.Lgs. n. 494/96, propone un sistema di organizzazione della prevenzione nel quale il rapporto e la linea di confine tra l’applicazione del Titolo I (“Disposizioni generali”) e l’applicazione del Titolo IV (“Cantieri temporanei o mobili”) risultano non esaustivamente delineati. Invero, per espressa indicazione di legge deriva da un lato che, in caso di nomina dei coordinatori, dunque di redazione del Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), il DUVRI (Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali) non deve essere redatto (salvo il caso scolastico dell’impresa che ometta di accettare il PSC a norma di quanto prevede l’art. 96, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008). In tale contesto di organizzazione del lavoro, le imprese rimangono comunque soggette agli obblighi derivanti dall’art. 26, D.Lgs. n. 81/2008: tuttavia, ai sensi dell’art. 92, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 81/ 2008, è compito primario del coordinatore per l’esecuzione (CSE) quello di organizzare “tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione”, così riproducendosi fedelmente la cosiddetta “triade gestionale” della sicurezza sul lavoro (1. cooperazione; 2. coordinamento; 3. informazione reciproca) già prevista dal citato art. 26. A questo riguardo l’allegato XV, D.Lgs. n. 81/2008 ricomprende tra i contenuti minimi del PSC anche “le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento, nonché della reciproca informazione, fra i datori di lavoro e tra questi ed i lavoratori autonomi” (Punto 2.1.2, lett. g). Il che del resto altro non è che la fedele trasposizione di quanto previsto dalla normativa Comunitaria (Tabella 1). Altro aspetto è quello legato ai rapporti tra Documento di valutazione dei rischi aziendali (DVR) e Documento di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI): anche qui spesso si fa confusione circa i contenuti operativi dei due documenti, nonché il soggetto deputato a redigerli, assumendosene in tal modo la responsabilità giuridica
DVR e DUVRI: le indicazioni della giurisprudenza
Cass. pen., sez. IV, sent., 9 febbraio 2015, n. 5857
Quid iuris nel caso in cui un cantiere edile operante in Titolo IV sia “ospitato” all’interno dell’area di uno stabilimento industriale soggetto alla (previa) disciplina del Titolo I, D.Lgs. n. 81/2008? Come interagiscono tra loro, in questa ipotesi, PSC, POS delle imprese edili, DVR dell’impresa ospitante? E soprattutto, colui che al tempo stesso è datore di lavoro committente (secondo il Titolo I) e committente (secondo il Titolo IV), ha l’obbligo di redigere il DUVRI al fine di regolare le interferenze esistenti non all’interno del cantiere, bensì tra questo e la normale attività di impresa, ovvero altre attività che si svolgano contestualmente in Titolo I (ad es. attività di manutenzione di impianti industriali, che per loro natura sono di regola soggette alla disciplina del DUVRI)?
Quanto all’ipotesi in cui sia il DUVRI a fare “da ombrello” di copertura al PSC, si può citare il caso deciso da Cass. pen., sez. IV, sent., 9 febbraio 2015, n. 5857.
Fatto:
All’interno di uno stabilimento industriale due elettricisti, dipendenti di ditte diverse alle quali erano stati commissionati in regime di Titolo I (art. 26, D.Lgs. n. 81/2008) lavori di impiantistica in un capannone, mentre stavano operando in quota mediante l’utilizzo di una piattaforma aerea, venivano urtati dal carroponte avviato da un carpentiere di una terza ditta, alla quale erano stati appaltati lavori edili correlati al processo produttivo dello stabilimento, e che assieme ad altre compagini sociali operava in regime di Titolo IV (artt. 88 e ss., D.Lgs. n. 81/2008).
A seguito del ribaltamento della PLE, i due lavoratori precipitavano a terra, riportando nell’infortunio lesioni personali gravi. Al datore di lavoro dello stabilimento veniva contestata la redazione di un DUVRI inadeguato (in quanto non precludeva l’utilizzo del carroponte, da parte degli edili, nella campata in cui operavano gli impiantisti elettrici); al coordinatore per l’esecuzione si addebitava di non avere adeguato il Piano di sicurezza e di coordinamento alla situazione di compresenza di squadre di lavoro di diversa estrazione funzionale (gli uni interni, gli altri esterni alla realtà di cantiere). Più in particolare l’inadeguatezza del DUVRI consisteva nel fatto di avere previsto, quale misura per la neutralizzazione del rischio interferenziale tra il cantiere edile e i lavori elettrici appaltati, che il personale di cantiere fosse accompagnato durante la circolazione all’interno dello stabilimento; si sarebbe invece dovuto precludere categoricamente l’utilizzo del carroponte nella campata in cui detto personale operava (in una parola, l’interdizione congiunturale dell’uso del carroponte in concomitanza con l’effettuazione dei lavori elettrici). Per altro verso, la previsione contenuta nel PSC di una “differenziazione temporale degli interventi nelle aree comuni” quale migliore soluzione adottabile, era rimasta sulla carta, e si era poi risolta solo con indicazioni verbali, da parte del CSE rimaste però ineseguite), di “togliere la corrente” all’attrezzatura di lavoro. Con il ricorso in Cassazione gli imputati contrastavano la condanna, lamentando che la Corte d’Appello aveva confuso i contenuti del DUVRI con quelli del PSC, attribuendo ad entrambi gli imputati una violazione che era riferibile solo al CSE; infatti, nel caso di specie il capannone dello stabilimento costituiva un cantiere edile (e in ogni caso l’infortunio era occorso agli elettricisti, nel corso dei lavori edili); sicchè, posto che il DUVRI non riguarda i cantieri edili, le misure di prevenzione relative a questi ultimi (inclusi i lavori elettrici) erano da prevedersi in via esclusiva nel PSC. La Cassazione ha però ritenuto giuridicamente errata la premessa di questo ragionamento. Posto che all’interno del capannone operavano sia la ditta in regime di terziarizzazione del processo produttivo, sia le ditte impegnate nei lavori edili per la ristrutturazione del capannone, correttamente il soggetto apicale, definibile quale “pluri-committente”, aveva attivato sia la redazione del DUVRI, sia la redazione del PSC. La condivisibile valutazione della Suprema Corte è stata che l’ambito operativo del DUVRI riguarda non solo la catena “verticale” dell’appalto e del subappalto (e, in questo ambito, la valutazione dei rischi interferenziali e delle ricadute della compresenza sui lavoratori dell’una e dell’altra organizzazione), ma anche i rischi “trasversali” derivanti dall’attività di soggetti “terzi” (ad es. un cantiere edile strutturato ai sensi del Titolo IV, D.Lgs. n. 81/2008), presenti ed operanti sul medesimo luogo di lavoro, sebbene estranei al criterio, codificato nell’art. 26, D.Lgs. n. 81/ 2008, dell’“inerenza” con il ciclo produttivo aziendale. Non è dunque corretto affermare, poiché si risolve in una concezione riduttiva delle funzionalità del DUVRI, che questo debba limitarsi alla tutela dei lavoratori dipendenti dal datore di lavoro committente e dal datore di lavoro appaltatore/subappaltatore; non a caso la normativa pone a carico del datore di lavoro committente di fornire agli appaltatori “dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività”. Secondo i giudici di legittimità, il citato art. 26, Testo Unico contiene insomma l’esplicito riferimento “all’intero ambiente di lavoro e all’intera attività del datore di lavoro committente”. Se ne ricava quindi che l’obbligo informativo in ordine al c.d. “rischio ambientale” non riguarda soltanto l’organizzazione e la struttura facente capo al datore di lavoro committente, ma altresì ogni fattore di rischio presente nell’ambiente di lavoro entro il quale l’appaltatore, ciascun appaltatore o subappaltatore, si troverà ad operare. Pertanto, ove l’ambiente di lavoro entro il quale l’appaltatore dovrà eseguire la prestazione concordata, preveda la presenza di una terza compagine – ad esempio un lavoratore autonomo al quale sia affidato un diverso appalto interno o lavori edili, finanche strutturati come vero e proprio cantiere ai sensi del Titolo IV, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008 -, non si può fare a meno di valutare e di regolare in ogni caso, mediante il DUVRI, i rischi che da quella presenza derivano. “D’altro canto – scrivono ancora i giudici di legittimità – sarebbe irragionevole ritenere che possa essere ignorato un fattore di rischio persino più elevato rispetto a quello determinato dalla compresenza delle organizzazioni del datore di lavoro committente e dell’appaltatore; entrambi, infatti, hanno conoscenza della propria organizzazione e possibilità di conoscere dell’altrui, mentre della ditta estranea all’appalto non è nota che la presenza. Non si può fare a meno di notare, al riguardo, che l’articolo 26 non impone alle parti dell’appalto – e segnatamente al datore di lavoro committente – di adempiere agli obblighi informativi, cooperativi e coordinativi anche nei confronti della ditta terza, comunque interferente. Ma ciò può valere quale conferma del fatto che di questa si deve tener conto nella valutazione prevista dall’articolo 26, avendo il legislatore ritenuto che tanto sia sufficiente a fronteggiare il rischio derivante dalla sua presenza nel luogo di lavoro, anche in considerazione – si può ipotizzare – del coinvolgimento della medesima in un diverso processo valutativo (eventualmente quello previsto dagli articoli 88 e ss.)”. Né tale situazione di anomala ma non eccezionale “promiscuità” può essere ordinariamente governata -secondo la Cassazione – dal Documento di valutazione dei rischi aziendali (DVR) facente capo al datore di lavoro committente: pena l’impropria – oltre che eccessivamente gravosa – estensione del concetto di “modifiche organizzative” contenuto nell’art. 28, D.Lgs. n. 81/2008, quale presupposto dell’obbligo di aggiornamento del DVR (il quale deve invece rimanere limitato ai rischi tipici dell’attività aziendale, nel caso di specie affatto diversi da quelli derivanti dallo svolgimento di lavori edili in quota). La Suprema Corte è così giunta ad affermare il principio di diritto secondo il quale, in tema di valutazione dei rischi nel DUVRI, il datore di lavoro committente “deve tener conto della presenza di ditte o di lavoratori autonomi terzi operanti all’interno dell’ambiente di lavoro in concomitanza dell’espletamento dei lavori affidati in appalto”, in sintonia con la consolidata Giurisprudenza per la quale la cerchia dei destinatari della tutela prevenzionistica che il datore di lavoro deve apprestare, include tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale. In essa risultano pertanto ricompresi anche coloro che, pur estranei all’ambito imprenditoriale, vengano comunque ad operare nel campo funzionale dell’imprenditore.
Altro fatto: Cass. pen., sez. IV, Sent., 8 aprile 2015, n. 14167
Quanto al rilievo che la “matrice” del rischio infortunistico assume, ai fini della scelta corretta del modello organizzativo e procedurale da adottare, si può citare il caso deciso da Cass. pen., sez. IV, sent., 8 aprile 2015, n. 14167. Il direttore di una sede di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) veniva condannato per l’infortunio di un proprio dipendente che, quale agente di scorta di un mezzo denominato “alzabinari” di proprietà di una ditta esterna appaltatrice, impegnata presso una stazione ferroviaria in operazioni di manutenzione della linea, dopo essere salito sulla pedana di guida del predetto mezzo, ove si trovava anche il conduttore, scivolava dalla pedana e rimaneva con il piede destro incastrato tra il ruotino ed il binario, riportando lesioni personali con amputazione di quattro dita del piede. Si contestava all’imputato, quale datore di lavoro prevenzionistico, di aver omesso di valutare nel Documento di valutazione dei rischi aziendali (DVR), il rischio di scivolamento dell’agente di scorta dal posto di guida del mezzo di lavoro, tanto più valutandosi che la prassi operativa di lavoro prevedeva che l’addetto alla scorta salisse sul mezzo scortato, il quale, ancorchè omologato, presentava una pedana priva di tavola fermapiedi e di parapetti. L’imputato, opponendosi all’impostazione accusatoria, puntualizzava che il concetto di “valutazione del rischio” di cui agli artt. 17 e 28, D.Lgs. n. 81/2008 non può essere interpretato nel senso di imporre una “esasperata disamina della casistica delle molteplici situazioni in cui possa svolgersi attività lavorativa”, poiché la normativa non fa riferimento alle singole modalità con cui può ipoteticamente essere svolta l’attività da ogni singolo lavoratore in ogni specifico intervento. In linea generale poi il rischio di “scivolamento” era già stato preso in considerazione in alcune schede di sicurezza facenti parte integrante del DVR. Tra l’altro – sosteneva – lo scivolamento risulta idoneamente valutato allorchè in concreto le misure di natura comportamentale, pur potendo considerare la grande varietà delle situazioni di lavoro, risultino nella loro concreta descrizione di immediata percepibilità ed attuazione da parte del lavoratore. Non a caso la funzione programmatica e di indirizzo del DVR consente che, in sede di valutazione dei singoli rischi, si possa fare riferimento a norme comportamentali valide per plurime situazioni di lavoro. La Cassazione, rimarcando che nell’attuale Testo Unico (a differenza di quanto avveniva nei rapporti
tra D.Lgs. n. 626/94 e D.Lgs. n. 494/96, specificamente disciplinati dall’art. 1, comma 2 del secondo decreto) manca una disciplina di raccordo tra il Titolo I e il Titolo IV (Tabella 2) ha puntualizzato che il giudizio circa la scelta corretta del modello gestionale di tutela delle condizioni di lavoro (DVR, oppure DUVRI, oppure PSC e POS) richiede preliminarmente, sul piano del metodo, l’identificazione della matrice del rischio: rischio intra-aziendale, ovvero rischio di natura interferenziale. Dopodichè si deve valutare se l’interferenza attenga a lavori intrinsecamente governati in regime di Titolo IV, D.Lgs. n. 81/2008 (artt. 88 e ss.), ovvero alla terziarizzazione del processo produttivo aziendale.
Altro caso “particolare”
da Cass. pen., sez. IV, sent., 9 settembre 2015, n. 36474.
Durante l’esecuzione di lavori sul raccordo autostradale di una grande città, affidata dall’ANAS ad un’ATI (Associazione temporanea di imprese) e da questa subappaltati – limitatamente alle attività di movimento terra, di demolizione di opere stradali esistenti, di pavimentazione stradale e di sistemazione idraulica – ad un’altra ATI, si verificava il decesso del lavoratore di una delle tre imprese subappaltatrici. Più precisamente, sul cantiere edile si stavano eseguendo due distinte lavorazioni: 1. la realizzazione di un muro di terra armata per ottenere una rampa di accesso al raccordo autostradale (realizzato mediante la posa in opera di pannelli in cemento con sagoma ad incastro) e 2. la sistemazione ad area carrabile della zona sottostante al muro medesimo, mediante realizzazione di una cunetta alla francese per lo scolo delle acque meteoriche.
Alla sistemazione ad area carrabile della zona sottostante al muro attendeva una squadra di operai, comandata da un caposquadra, della quale faceva parte la vittima. Nel corso dei lavori, il mezzo meccanico che operava per la posa dei pannelli nel livello superiore della costruenda rampa, urtava un pannello di cemento che cadeva sul lavoratore, sito nella zona sottostante il muro armato, cagionandone il decesso. Peraltro l’operatore, che al momento stava posizionando i pannelli in un luogo distante da quello ove si sarebbe poi verificato l’infortunio, era stato chiamato ad operare in tale zona sol perchè un camion aveva scaricato della terra nel luogo in cui si dovevano ancora stendere le bandelle cui ancorare i pannelli, ed era quindi necessario rimuovere detto materiale. I giudici di merito hanno ritenuto che non si fosse tenuto conto dell’interferenza tra le due lavorazioni, svolte peraltro dalla medesima impresa esecutrice e dei conseguenti rischi per i lavoratori, e che del sinistro dovessero pertanto rispondere il preposto e il datore di lavoro dell’operaio deceduto. Il primo era presente sul posto in qualità di caposquadra ed era a conoscenza del concomitante svolgimento delle due lavorazioni; il secondo avrebbe dovuto valutare nel POS (Piano operativo di sicurezza) del rischio derivante dall’interferenza, non considerata accidentale, tra le due lavorazioni. Con i ricorsi per Cassazione, gli imputati deducevano che le lavorazioni non erano interferenti tra loro, atteso che il preposto aveva dato disposizioni a che le due lavorazioni (posa dei pannelli e realizzazione della cunetta) non venissero a svolgersi in sovrapposizione spaziale, cioè l’una nello spazio soprastante l’area nella quale si svolgeva l’altra, posto che tra esse si sarebbe dovuta mantenere una distanza di rispetto non inferiore a quaranta metri. Deducevano, inoltre, che la lavorazione di spianamento che aveva provocato l’accidentale caduta del pannello, compiuta a soli sette metri dal muro di terra armata e proprio sull’asse verticale in cui più sotto si trovava la vittima, era una lavorazione che non era stata né prevista né programmata: essa non poteva quindi che risolversi in un errore nello svolgimento dell’attività lavorativa, idoneo ad interrompere il nesso causale, riconducibile al comportamento dell’operatore del mezzo meccanico. Inoltre, poiché i lavori di livellamento del terreno erano eseguiti da un’altra impresa esecutrice, l’attività di coordinamento incombeva sull’impresa affidataria ai sensi dell’art. 97, D.Lgs. n. 81/ 2008. In ogni caso poi il rischio di interferenza era insorto non ad origine ma solo in corso d’opera, sicché non era corretta la decisione dei giudici di merito, secondo la quale le lavorazioni dovevano essere programmate fin dall’inizio in regime di interferenza. La valutazione della Suprema Corte è stata che effettivamente la Corte d’Appello aveva dato atto che, al momento dell’infortunio, i lavori sulla parte superiore del muro, pur svolgendosi nella zona soprastante al fronte di realizzazione della cunetta, erano in corso in un punto che in verticale non corrispondeva a quello dove stava lavorando la squadra di operai di cui faceva parte la vittima; ma che, a seguito del ritardo prodottosi nell’esecuzione dei lavori tanto nella parte superiore della rampa che in quella inferiore, tali lavorazioni, che erano state previste come non contestuali, si stavano svolgendo nel medesimo contesto ambientale. Dunque i giudici di merito avevano fatto riferimento alle zone complessivamente dedicate alle lavorazioni, non a quelle ove, nel preciso istante dell’incidente, si stavano svolgendo il posizionamento dei pannelli e le attività di realizzazione della sottostante cunetta. La Cassazione ha così sposato l’assunto di fondo della Corte territoriale, secondo il quale ciò che rilevava era che, secondo la configurazione dell’organizzazione di cantiere, le aree interessate dalle due lavorazioni erano verticalmente corrispondenti, e le due lavorazioni erano contestualmente in esecuzione (in assenza di sfasamento spaziale e di sfasamento temporale). A tal fine era del tutto irrilevante, per la valutazione della sussistenza del rischio interferenziale, considerare la posizione di volta in volta assunta in concreto lungo i fronti di lavoro da coloro che attendevano alle operazioni di posizionamento del muro e da coloro che attendevano alla realizzazione della cunetta (effettivamente nel caso di specie il conducente del mezzo meccanico, prima di essere chiamato a rimuovere il terreno, era intento al posizionamento dei pannelli in altra zona del fronte). La condivisibile soluzione cui la Suprema Corte è pervenuta è che ci si trova in presenza di lavorazioni interferenti ogniqualvolta lo svolgimento di più lavorazioni faccia emergere un rischio aggiuntivo, il quale tuttavia può derivare non soltanto dalla presenza di un rischio interferenziale “proprio” (svolgimento contemporaneo di più lavorazioni da parte di imprese diverse), ma anche dalla presenza di un rischio interferenziale “improprio” (interferenza tra lavorazioni della stessa impresa), e finanche da fattori diversi dalla contestualità delle operazioni, come avviene nel caso in cui lo svolgimento delle lavorazioni (e la correlata presenza delle imprese) sia solo concomitante. Ciò detto, poiché era risultato che entrambe le lavorazioni facevano capo alla medesima impresa esecutrice, del rischio interferenziale derivante dalla loro concomitante esecuzione (sebbene nel caso di specie non contestuale, atteso che effettivamente l’operatore del mezzo meccanico stava posizionando i pannelli in un luogo distante da quello ove si sarebbe poi verificato l’incidente, ma era stato improvvisamente chiamato ad operare in tale zona perchè un camion aveva scaricato terra ove si dovevano stendere ancora le bandelle ed era quindi necessario rimuoverla), dovesse farsi carico la suddetta impresa, sia in termini di valutazione del rischio nel POS, sia in termini di esercizio concreto della vigilanza durante l’esecuzione dei lavori. La Cassazione ha anche correttamente rilevato che il richiamo da parte degli imputati al DUVRI di cui all’art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, al fine di ricondurre all’impresa affidataria l’obbligo di predisporre le misure dirette a fronteggiare il rischio interferenziale, è improprio, atteso che il DUVRI “concerne rischi che derivano dalla presenza di imprese diverse (rischio interferenziale in senso proprio) e non già, come nel caso, il rischio connesso allo svolgimento di lavorazioni distinte da parte della medesima impresa, da governarsi nello specifico attraverso il POS”. In tale quadro i giudici di legittimità hanno correttamente puntualizzato che la circostanza che l’operatore del mezzo meccanico avesse urtato il pannello mentre rimuoveva del terreno piuttosto che durante la posa dei pannelli, non mutava la natura della interferenza (tra lavorazioni interne ad una stessa impresa, piuttosto che tra imprese diverse), atteso che il rischio per i lavoratori attivi nella zona sottostante non derivava dalle caratteristiche della lavorazione di movimento terra, bensì era correlabile alla localizzazione di maestranze e/o di mezzi d’opera nella zona superiore e antistante di posizionamento dei pannelli, qualunque cosa essi facessero. Dunque, la circostanza dedotta dagli imputati che la lavorazione interferente fosse quella di movimento terra svolta da altra impresa – peraltro secondo le risultanze processuali in posizione arretrata di almeno cento metri rispetto al muro armato, e separata da rete di delimitazione – è stata ritenuta non rilevante. Quanto poi al concetto di “sopravvenienza” del rischio interferenziale, che avrebbe dato luogo ad un POS originariamente idoneo (ed eventualmente inadeguato solo con riferimento al successivo sviluppo dei lavori), la Cassazione è stata tranchant: anche ad ammettere che la Corte d’Appello abbia errato nel ritenere carente ad origine il POS piuttosto che ascrivere all’imputato il mancato aggiornamento del medesimo, ciò che conta è la situazione di fatto esistente al momento dell’infortunio, e cioè che il POS non prevedesse l’interferenza (poco importa se fin dall’origine, ovvero successivamente).
Da ultimo, sul tema specifico dei rapporti tra DVR e DUVRI,
Cass. pen., sez. III, sent., 13 febbraio 2023, n. 5907.
Il titolare di una ditta incaricata di svolgere, in regime di subappalto di servizi (movimentazione merci), la logistica di un magazzino di proprietà di altra ditta, veniva condannato per non avere protetto le aree di lavoro e di passaggio dal rischio di caduta di materiali dall’alto, e per non avere preso in considerazione nel proprio DVR il rischio di caduta di materiali dall’alto. Con il ricorso per Cassazione si deduceva che i giudici di merito avevano fatto confusione tra DVR e DUVRI: in particolare presupponendo erroneamente la disponibilità giuridica dei luoghi da parte dell’imputato, il che non era; e inoltre non considerando che il rischio di caduta di materiali dall’alto è un rischio di natura interferenziale, il quale dunque, nel caso di specie, gravava sul committente, il solo ad avere la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolgeva il lavoro. La Cassazione ha accolto il ricorso, precisando in primo luogo che, qualora in un medesimo luogo operino stabilmente più lavoratori, dipendenti da datori di lavoro diversi, non legati tra loro da rapporto di appalto o da altro rapporto giuridicamente rilevante, ciascun datore di lavoro è tenuto alla elaborazione del proprio documento di valutazione dei rischi (DVR), ai sensi degli artt. 28 e 29, D.Lgs. n. 81/2008; al contrario, la condotta di omessa elaborazione del DUVRI è un reato proprio del datore di lavoro committente, e non può pertanto essere imputato anche al datore di lavoro appaltatore, atteso che dal testo dell’art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 si evincono due distinti e non sovrapponibili obblighi: da un lato, quello di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, imposto dalla norma ai “datori di lavoro” genericamente denominati “ivi compresi i subappaltatori”; dall’altro lato l’obbligo di promuovere la cooperazione ed il coordinamento elaborando il DUVRI; obbligo – quest’ultimo – imposto testualmente al solo “datore di lavoro committente”. Ora, poiché l’art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 distingue tra obblighi di coordinamento e di attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro (pur se derivanti dalle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva), i quali gravano su tutti i datori di lavoro, anche se subappaltatori, a norma del comma 2; e l’obbligo di elaborazione del DUVRI, che incombe solo sul datore di lavoro-committente, a norma del comma 3; ne consegue che il datore di lavoro non committente, pur non avendo l’onere di redigere il documento di valutazione dei rischi da interferenza, ha però il dovere di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dei rischi, anche quando dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva. E a questo riguardo la giurisprudenza ha da tempo chiarito che “si intende per datore di lavoro committente colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo” (Cass. pen., sez. IV, sent., 13 febbraio 2015, n. 6394), in quanto finalità della disciplina normativa è di individuare con certezza il titolare primario della posizione di garanzia relativa alla valutazione dei rischi da interferenze, in colui che ha la posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nella sua unità produttiva di più imprese. Questa soluzione appare coerente con l’obiettivo di incrementare la tutela contro i rischi cui sono esposti i lavoratori, atteso che la redazione di un unico DUVRI è stata prevista proprio in funzione di assicurare una valutazione unitaria e globale dei rischi interferenziali, al fine di una più efficace tutela contro i fattori di pericolo, e non certo per esonerare i datori di lavoro diversi dal committente dagli obblighi di protezione e prevenzione: basti considerare al riguardo che il DUVRI costituisce il risultato di un’attività di cooperazione e coordinamento tra tutti i datori di lavoro coinvolti. Se dunque gli artt. 17, comma 1, lett. a), e 28, D.Lgs. n. 81/2008 pongono a carico di “tutti” i datori di lavoro l’obbligo di redigere un documento contenente la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; al contrario, l’art. 26 del decreto legislativo pone a carico del “datore di lavoro committente” l’elaborazione di “un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò, non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze”. È dunque doveroso e imprescindibile distinguere l’obbligo di redigere un documento contenente la “valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa”, quale è il DVR (posto a carico di “ciascuno” dei datori di lavoro coinvolti, anche se subappaltatori), e l’obbligo di redigere un documento contenente la valutazione dei rischi da interferenze qual è il DUVRI (obbligo quest’ultimo che grava invece esclusivamente sul datore di lavoro committente). Dunque, in tema di lavori in subappalto, tutti coloro che esercitano un’attività di lavoro – quindi anche il subappaltatore che esegua un’opera parziale e specialistica – ha l’onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro; ciò anche se l’organizzazione dell’area di lavoro nel suo complesso faccia capo all’appaltatore, quale titolare dei poteri direttivi generali. Ne deriva che ogni datore di lavoro, pur se subappaltatore, ha l’obbligo di osservare le disposizioni sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e, quindi, deve adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro “tutti” i rischi per la sicurezza e la salute cui i suoi dipendenti sono esposti, e ciò anche nell’ipotesi che tali rischi siano dovuti alle “interferenze” con l’attività di altre imprese, ed anche quando l’organizzazione del luogo di lavoro rimanga sottoposta ai poteri direttivi dell’appaltatore o del committente. Ogni datore di lavoro, a norma dell’art. 17, D.Lgs. n. 81/2008, è infatti tenuto ad effettuare “la valutazione di tutti i rischi”; e a norma dell’art. 28, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, ad apprestare le misure di prevenzione e di protezione che si rendono necessarie in conseguenza della valutazione di tali rischi. Tale obbligo non è escluso neanche con riguardo ai rischi da “interferenze”, sol perché il dovere di elaborare un documento unitario di valutazione di tali rischi, ossia il DUVRI, grava in via esclusiva sul datore di lavoro committente. È quindi ragionevole ritenere che i datori di lavoro diversi dal committente, pur non dovendo redigere il DUVRI, sono comunque obbligati ad attuare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i propri lavoratori dipendenti, anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva. Ancora, l’obbligo per ciascun datore di lavoro di adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro “tutti” i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, non trova un limite neppure quando l’attività di lavoro in regime di appalto o di subappalto si svolge in un luogo nella disponibilità giuridica di altri, o comunque sottoposto ai poteri direttivi di altri; questo perché l’art. 62, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 dispone che si intendono per luoghi di lavoro non solo i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva; ma anche “ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”. In ragione della latitudine della disposizione normativa ora citata, per “luogo di lavoro” deve pertanto intendersi qualunque luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro ed in cui, in conseguenza, il lavoratore deve o può recarsi per eseguire incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività: dunque anche i luoghi esterni all’azienda o comunque non sottoposti alla giuridica disponibilità del datore di lavoro, quale è stata ritenuta, ad esempio, finanche “una strada pubblica ed aperta al pubblico transito, esterna al cantiere”.
Conclusioni
Via via che passa il tempo, si consolidano sempre di più le acquisizioni giurisprudenziali, frutto di processi di lenta maturazione dei giudici nell’attività di interpretazione di una normativa complessa e variegata come quella in materia di sicurezza sul lavoro. Ogni tanto la Cassazione mette dei punti fermi, altre volte appare ondivaga: l’importante per la dottrina è accompagnarla in questo non facile percorso.