Operaio precipita da un lucernaio durante il lavoro di montaggio di una canalina metallica: il comportamento negligente della vittima costituisce un accadimento fortuito, preventivamente intuibile – Cassazione Penale, Sez. 4, 19 agosto 2019, n. 36171 –
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la
sentenza del Tribunale di Teramo del 6 novembre 2015, con cui DA.G. era stato
condannato alla pena di mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art.
590, commi secondo e terzo, cod. pen. (perché, nella qualità di amministratore
della ditta Italpannelli s.r.l. e di datore di lavoro, per colpa consistita
nella violazione degli artt. 148 e 36, comma 2, D. Lvo n. 81 del 2008, non approntando sulla copertura autoportante di
nuova realizzazione del reparto “piegatura taglio lamiere”, idonee
tavole, né idonee misure per evitare i calpestio sui lucernai non calpestabili,
né segnali di avvertimento del pericolo di caduta, né installando le linee vita
atte a consentire l’aggancio di cordini di imbracatura di sicurezza, né
approntando sotto ai lucernai impalchi di protezione, infine non informando
adeguatamente il lavoratore G.S. del rischio specifico di caduta dall’alto, gli
cagionava lesioni personali gravi, dalle quali derivava una malattia nel corpo
giudicata guaribile in giorni centoquattordici; segnatamente il lavoratore era
adibito ad un lavoro di montaggio di una canalina metallica lungo il perimetro
del tetto e lo stesso, privo di mezzi di protezione dalla caduta dall’alto e
non informato sulla non calpestabilità dei lucernai, precipitava da uno di
questi – in Ancarano il 7 aprile 2011 – con la recidiva specifica
infraquinquennale).
In ordine alla ricostruzione dei fatti, G.S., mentre prestava servizio presso
la società Italpannelli s.r.l., quale addetto al lavoro di montaggio di
canaline in ferro sulla superficie di copertura del capannone, ad un’altezza di
circa nove metri, calpestava accidentalmente un lucernaio avente una copertura
provvisoria (costituita da canaline metalliche e bancali in legno, con una
lastra in vetroresina sottostante); il lucernaio, essendo inidoneo a sostenere
il peso del lavoratore, cedeva e lo lasciava precipitare al suolo,
cagionandogli gravi lesioni personali.
Il teste R.G., tecnico del servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti
di lavoro presso la ASL di Teramo, ed altri lavoratori presenti sul posto
accertavano l’assenza di qualsivoglia dispositivo di prevenzione (es. segnali
di avvertimento del pericolo) o di protezione individuale (es. imbracatura o
elmetto). Se adeguatamente informata del pericolo cui era esposta la parte
offesa avrebbe evitato l’infortunio.
La Corte di appello ha accertato
l’inosservanza degli obblighi previsti dall’art. 18 D. Lgs n. 81 del 2008 di
affidare ai lavoratori compiti adeguati alle loro capacità e competenze, di
garantire l’adeguata informazione dei rischi, di fornire i necessari
dispositivi di protezione e di vigilare sull’osservanza delle norme di
sicurezza del lavoro e di uso dei dispositivi predetti.
L’evento non poteva essere addebitato alla persona offesa, in quanto
l’imputato, in virtù della propria posizione di garanzia, avrebbe dovuto
accertare l’inosservanza di presidi antifortunistici, vigilando sulla
sussistenza e sulla persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dai
lavoratori il rispetto delle regole di cautela. L’adozione delle dovute
precauzioni avrebbe neutralizzato il rischio derivante dal richiamato
comportamento imprudente.
2. Il DA.G., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la
sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge per inosservanza o non corretta applicazione dell’art.
148 D. Lgs.- n. 81 del 2008.
Si deduce che la disposizione dell’art. 148 D. Lgs. cit. consente l’esecuzione
di lavori su tetti e lucernai, imponendo solo la preventiva verifica della
resistenza (per sostenere il peso di operai e materiali di impiego) nonché il
collocamento di tavole sopra le orditure e i sottopalchi. Nel rispetto di tali
disposizioni, il datore di lavoro disponeva l’apposizione di opportuno
materiale di costruzione sul lucernaio in questione.
2.2. Vizio di motivazione per la mancata chiara indicazione della struttura
essenziale del fatto, stante la presenza del presidio antifurtunistico e
l’abnorme condotta del lavoratore di rimozione dello stesso.
Si rileva che la rimozione del presidio di sicurezza effettuata dal lavoratore
rap-presentava la causa assorbente e sostitutiva del rischio. Si trattava di
una condotta abnorme, alla luce delle attribuzioni espletate dal lavoratore in
detta circostanza. L’infortunato non aveva motivo di avventurarsi sul tetto del
capannone, in quanto disponeva delle canaline lungo il camminamento
perimetrale, dove peraltro erano montate; preferiva, invece, le canaline di
protezione di un lucernaio, per cui lo sfondava e precipitava (vedi le
dichiarazioni di tutti i testimoni, tra le quali quelle rese da A.E.). Il
camminamento perimetrale sulla copertura occorreva proprio ad evitare incidenti
del genere di quello verificatosi.
2.3. Vizio di motivazione per erronea indicazione in ordine alla formazione e
all’informazione fornita al lavoratore.
Si osserva che, contrariamente a quanto dedotto in sentenza, tutti i testimoni
avevano dichiarato di essere stati formati ed informati sui rischi inerenti
alla sicurezza e di aver ricevuto tutti i dispositivi di sicurezza.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis
e 133 cod. pen. per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche.
Si sostiene che, alla luce dello
stabile quadro familiare e del pieno inserimento sociale dell’imputato,
sussistevano i presupposti per la concessione delle circostanze attenuanti
generiche in favore del DA.G..
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile, essendo basato su motivi manifestamente
infondati, generici o non proponibili in sede di legittimità.
1.1. Con riferimento ai primi tre motivi di ricorso, da trattare
congiuntamente, va rilevato che la Corte di appello ha fornito una motivazione
adeguata descrivendo in dettaglio le cause dell’Infortunio, indicando le norme
in materia di prevenzione sul lavoro violate e specificando le ragioni
dell’irrilevanza del comportamento del lavoratore nel determinismo causale.
In proposito, la Corte territoriale non ha mancato di soffermarsi sugli
obblighi facenti capo all’imputato derivanti dalla posizione di garanzia
propria del datore di lavoro, sottolineando i precisi obblighi di vigilanza e
di controllo che lo rendono responsabile degli eventi causalmente connessi alla
violazione di cautele doverose nell’ambiente lavorativo, tra le quali quella di
adibire i dipendenti unicamente alle mansioni per le quali sono stati assunti,
formati ed informati, di non esporli a rischi per l’incolumità personale in
assenza di dispositivi di protezione e di adottare ogni misura antinfortunistica
che si renda necessaria in relazione alle prestazioni lavorative affidate ed
alle condizioni dell’ambiente di lavoro.
In tema di infortuni sul lavoro, infatti, il datore di lavoro, in quanto
titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei
lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi
antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di
sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l’osservanza delle regole di
cautela (Sez. 4, n. 8883 del
10/02/2016, Santini, Rv. 266073; Sez. 4, n. 3787 del
17/10/2014, dep. 2015, Bonetti, Rv. 261946; Sez. 4, n. 37986 del
27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365).
1.2. Il DA.G. deduce di aver rispettato gli obblighi di informativa e di
dotazione antinfortunistica dei lavoratori, sostenendo una tesi evidentemente
contrastante con quanto affermato dalla Corte territoriale all’esito
dell’istruttoria dibattimentale. Al riguardo, secondo quanto esposto nella
sentenza impugnata, R.G., tecnico del servizio di prevenzione e sicurezza negli
ambienti di lavoro presso la ASL di Teramo, e altri lavoratori presenti sul
cantiere, riferivano le suddette omissioni del datore di lavoro nelle attività
di organizzazione e di controllo dei dipendenti.
Il ricorrente, quindi, formula una valutazione completamente diversa delle
dichiarazioni testimoniali, senza neanche allegare all’atto di impugnazione i
verbali contenenti le deposizioni dei testi – asseritamente di contenuto
opposto – in violazione del principio di autosufficienza.
1.3. In ordine alla prevedibilità delle circostanze che hanno determinato
l’evento lesivo del lavoratore, i giudici dì merito hanno affermato la non
eccentricità e la non imprevedibilità del comportamento del lavoratore ed hanno
evidenziato come il comportamento negligente della vittima costituisse un
ordinario accadimento fortuito, preventivamente controllabile e intuibile in
anticipo.
L’assunto del giudice d’appello è corretto e conforme al principio più volte
affermato dalla Corte di legittimità in materia di infortuni sul lavoro,
secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, la condotta esorbitante ed
imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale,
non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche
quella che, nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od
esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della
posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5007 del
28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); nello stesso senso, si è affermato
che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del
lavoratore possa ritenersi idonea ad escludere il nesso di causalità tra la
condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che
essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio
eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare
della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del
13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).
Pertanto, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la
violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro
ovvero al destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime
questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento
anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle
mansioni attribuite, risolvendosi in un compor-tamento del tutto esorbitante ed
imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da
ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4,
n. 16397 del
05/03/2015, Guida, Rv. 263386).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore,
in presenza di evidenti criticità del sistema di tutela approntato dal datore
di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei
soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Tali disposizioni, infatti,
sono dirette a difendere il lavoratore anche da incidenti che possano derivare
da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di
lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli (Sez. 4, n. 10265 del
17/01/2017, Meda, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del
21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
Orbene, risulta evidente, in base
ai principi richiamati, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte
territoriale, non è possibile inquadrare nell’ambito delle condotte connotate
da esorbitanza, il comportamento tenuto dal lavoratore, non essendosi
realizzato in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato
addetto.
La Corte di merito, con motivazione logica ed immune da censure, ha evidenziato
che il lucernaio – coperto da una lastra in vetroresina non calpestabile sulla
quale erano stati disposti bancali in legno e canaline in ferro in violazione
dell’art. 148D. Lgs. n. 81 del 2008 – costituiva una fonte di rischio di caduta
dall’alto, non era adeguatamente segnalato ed era artatamente occultato dal
materiale sovrappostovi.
2. Va poi osservato che il ricorrente aveva proposto appello per motivi
riguardanti esclusivamente l’accertamento della responsabilità.
Al contrario, col quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduce
l’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Ebbene, non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni
sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi
perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017,
Bolognese, Rv. 269745). Occorre evitare il rischio che in sede di legittimità
sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della
decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di
motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del
giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316).
3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e –
non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro duemila
in favore della Cassa delle ammende. Il ricorrente va altresì condannato alla
rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che vanno
liquidate in complessivi euro duemilacinquecento, oltre accessori come per
legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte
civile che liquida in complessivi euro duemilacinquecento, oltre accessori come
per legge.
Così deciso in Roma il 4 aprile 2019.