Sentenza n.47834 dell’11/11/2016 – Presenza in cantiere del coordinatore per l’esecuzione

Pur non essendoci in capo al CSE l’obbligo di una presenza continua in cantiere lo stesso deve garantire un controllo puntuale nei momenti più critici quali l’avvicendarsi di più imprese e lo svolgimento delle fasi più delicate.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza di condanna pronunziata dal Tribunale nei confronti di un architetto e di un geometra, entrambi nella veste di coordinatori per la sicurezza in fase esecutiva per il reato di lesioni colpose gravi con violazione della disciplina antinfortunistica in danno di un lavoratore dipendente di una società subappaltatrice in un cantiere edile durante i lavori di posa dei lucernari e di impermeabilizzazione di una tettoia di carico e scarico delle merci di un complesso immobiliare commerciale.

L’infortunio si era verificato allorquando il lavoratore, che era sul tetto del capannone e che stava spostando pacchi di pannelli fono-isolanti servendosi di un carrello e procedendo a ritroso, giunto in prossimità di una delle aperture presenti sulla tettoia ed in quel momento non protette in alcun modo, non si era accorto dell’apertura e dopo aver urtato contro il cordolo era  precipitato all’interno della cavità per circa sei metri, riportando plurime e gravi fratture causative di una malattia durata più di un anno, oltre a significativi postumi permanenti.

Entrambe le sentenze di merito avevano riconosciuto la sussistenza della penale responsabilità del datore di lavoro dell’infortunato, dei legali rappresentanti delle ditte appaltatrice ed affidataria principale e dell’architetto e del geometra coordinatori per la sicurezza in fase esecutiva senza distinzione tra loro di ruoli o di compiti. Ai due coordinatori era stato addebitato di non avere assicurato l’attuazione, nella concreta applicazione del piano di sicurezza e coordinamento in fase esecutiva tra le imprese esecutrici dei lavori, di idonea precauzione in relazione al transito, con il rischio di caduta dall’alto, in prossimità di aperture profonde circa 6 metri, poste sulla tettoia da impermeabilizzare, alcune delle quali erano prive di apprestamenti anticaduta quali parapetti, tavole fermapiede, tavole calpestabili, grigliati o altri convenienti sbarramenti, misure (quali i parapetti o le recinzioni) che pure erano state previste dal piano di sicurezza e coordinamento proprio in riferimento alla presenza di aperture nei solai e nelle coperture.

La responsabilità degli imputati era stata ritenuta discendere dall’avere omesso di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano operativo di sicurezza e del piano di sicurezza e coordinamento in quanto era stato accertato che, per almeno due-tre giorni, i lavori sulla copertura erano andati avanti in assenza dei dispositivi di protezione collettiva, pur prescritti dal P.O.S. e dal P.S.C., senza che alcuna contestazione fosse stata mossa dai coordinatori per la sicurezza in fase esecutiva al datore di lavoro, essendo la sua ditta subentrata nel cantiere ad una precedente che aveva rimosso i parapetti che in precedenza erano stati posti, ed è a questo punto che i coordinatori, proprio in coincidenza con l’avvicendarsi tra le due ditte mentre gli stessi avrebbero dovuto, invece, vigilare affinché venisse apprestato un cantiere sicuro per i lavoratori. A riprova ulteriore della loro omissione era stato altresì sottolineato nella sentenza di primo grado che i due coordinatori una decina di giorni prima dell’incidente avevano verificato che i parapetti che aveva installato la ditta precedente non erano montati in maniera idonea, mancando la tavola fermapiede, prescritta dall’art. 146, comma 1, del D. Lgs. n. 81 del 2008, avevano di conseguenza disposta la sospensione dei lavori per il tempo necessario alla regolarizzazione ed avevano verificato, infine, che in cantiere non erano presenti cartelli che segnalassero i pericoli di cadute e la necessità di utilizzare i dispositivi di protezione individuale.

Il ricorso in Cassazione e le motivazioni

Hanno ricorso in Cassazione entrambi gli imputati adducendo diverse motivazioni. Gli stessi con riferimento alla mancanza dei parapetti di protezione hanno messo in evidenza che gli stessi già esistenti erano stati rimossi al momento dell’infortunio e che la loro presenza a protezione delle aperture dalla caduta dall’alto era già stata prevista nei piani di sicurezza congiuntamente all’uso dei dispositivi di protezione individuali che nell’occasione non erano stati utilizzati. La lavorazione di bordatura del cordolo con risvolto della guaina, infatti, nella quale era impegnato il lavoratore infortunato, non avrebbe tollerato alcun dispositivo di protezione collettiva, in quanto incompatibile con la lavorazione stessa ed avrebbe comportato solo la necessità di utilizzare mezzi di protezione individuale messi a disposizione dal datore di lavoro e ciò anche perché l’operazione da effettuare era limitata e di breve durata.

 

I ricorrenti hanno altresì censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito agli stessi, in quanto coordinatori per la sicurezza in fase di esecuzione, un obbligo di aggiornamento delle procedure di sicurezza, senza che vi sia un fondamento normativo nel D. Lgs. n. 81 del 2008 in quanto il presupposto per l’aggiornamento dei piani di sicurezza è la sopravvenienza di una nuova situazione di rischio, sopravvenienza che nel caso di specie non si sarebbe verificata. Il ruolo di “alta vigilanza“, inoltre, come più volte puntualizzato dalla stessa suprema Corte, che è tipico del coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, non comporterebbe l’obbligo di una puntuale, stretta e stringente vigilanza e quindi di una costante presenza in cantiere. Da ultimo i ricorrenti hanno censurato la sentenza per non avere la Corte di Appello tenuto conto che al momento dell’infortunio si trovava sotto la vigilanza del suo datore di lavoro e che, non indossando i dispositivi individuali di protezione, il lavoratore aveva tenuto un comportamento abnorme e avrebbe autonomamente dato corso al sinistro, interrompendo ogni nesso di causalità riguardo alla loro pretesa omessa sorveglianza.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi infondati e li ha pertanto rigettati. La stessa, con riferimento al periodo all’attività del coordinatore in fase di esecuzione nei cantieri temporanei o mobili ha tenuto a precisare che lo stesso è titolare di una posizione di garanzia, che non può ritenersi esaurita allorché siano terminate le opere edili in senso stretto, in quanto lo stesso continua a rivestire un ruolo di vigilanza sul generale espletamento delle lavorazioni, che ordinariamente afferiscono ai cantieri, per tutto il tempo necessario per la completa esecuzione dell’opera ed è tenuto pertanto a garantire la massima sicurezza dei lavoratori legata al coordinamento delle diverse attività lavorative per tutto il tempo necessario a consentire la completa esecuzione dell’opera, ancorché i lavori editi in senso stretto siano stati terminati in un momento antecedente.

Con riferimento poi alla nozione di “alta vigilanza” del coordinatore la Sez. IV, dopo avere richiamato puntualmente gli obblighi che il D. Lgs. n. 81/2008 ha voluto assegnare allo stesso, ha evidenziato che dalla lettura del decreto stesso appare chiaro che questa figura riveste un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale e stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative, ossia al datore di lavoro, al dirigente, al preposto ed è proprio in relazione al primario compito di coordinamento delle attività di più imprese che operano nell’ambito del medesimo cantiere che deve trovare fondamento la definizione della sua posizione di garanzia nel cantiere temporaneo o mobile come positivizzata dall’art. 89, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81 del 2008.

La suprema Corte quindi, applicando tale principio al caso in esame, ha ritenuta assolutamente insussistente la censura incentrata sull’omesso adeguamento da parte degli imputati dei piani di sicurezza alla situazione concreta e sull’insufficiente vigilanza operata in cantiere in quanto si era in un momento di interconnessione tra l’attività di due imprese, una subentrante all’altra, in una situazione oggettivamente ed innegabilmente rischiosa, poiché si svolgevano lavori in quota ed in presenza di aperture non protette. Il succedersi di un’impresa ad un’altra, momento di per sé delicato, in un contesto fattuale simile ha sicuramente costituto un’accentuazione dell’area di rischio, rischio che era compito dei coordinatori per la sicurezza in fase esecutiva governare e che non è risultato correttamente gestito. In definitiva, ha sostenuto la Sez. IV, “pur non configurandosi, come si è visto, in capo ai coordinatori per la sicurezza in fase esecutiva un obbligo di presenza continuativa nel cantiere, l’avere omesso, per due-tre giorni il controllo in loco, in un momento indubbiamente critico quale l’avvicendamento tra due imprese mentre erano in corso lavori sul tetto e con fori scoperti, per di più nella delicata fase di risvolto della guaina sul cordolo, è stato correttamente ritenuto dai giudici di merito integrare violazione di un obbligo derivante dalla posizione di garanzia rivestita dagli imputati”.

Incondivisibile ha, infine, ritenuto la Corte di Cassazione il riferimento fatto dai ricorrenti alla circostanza che il lavoratore si sarebbe trovato, al momento dell’infortunio, sotto la vigilanza del suo datore di lavoro. La delicata e rischiosa fase dell’attività lavorativa in corso al momento dell’infortunio, infatti, ritenuta dai ricorrenti contingente ed estemporanea e quindi sotto l’esclusivo controllo del datore di lavoro rientrava invece a pieno titolo nella configurazione essenziale della lavorazione per cui, in definitiva, secondo la Corte suprema, si è ritenuta correttamente rientrante nell’ambito dell’alta vigilanza gravante sul coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione.

 

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